La nostra idea è che alcuni dei fattori di compensazione che hanno aiutato a moderare l’impatto delle tariffe nel 2018 difficilmente potranno essere altrettanto efficaci questa volta.

L'annuncio degli Stati Uniti di imporre ampi dazi sulle importazioni da Canada, Cina e Messico e la successiva reazione del mercato dimostrano che la politica dei dazi del Presidente Trump potrebbe perturbare sia l'economia mondiale che i mercati finanziari globali. Tuttavia, la sospensione dei dazi nei confronti di Messico e Canada, pochi giorni dopo l'annuncio, testimonia anche l'elevato livello di incertezza sul percorso futuro e sulla portata della politica commerciale statunitense. Esaminiamo la portata delle importazioni degli Stati Uniti a rischio a causa dei dazi e la ragione per cui le differenze tra il 2025 e 2018 hanno incrementato i rischi di inflazione derivanti dai dazi sulle importazioni.

La durata dei dazi e la ritorsione dei partner commerciali sono le variabili da considerare per valutare l’impatto complessivo su crescita e inflazione. Gli investitori dovrebbero essere consapevoli del rischio che diversi dazi sulle importazioni statunitensi e quelli di ritorsione dei partner commerciali rimangano in vigore nel medio termine.

Infine, illustreremo tre diversi scenari per i dazi e le relative implicazioni per diverse classi di attivo. Tenendo conto dell’elevato livello di incertezza, riteniamo che la diversificazione in obbligazioni di qualità e investimenti alternativi sia la chiave per mitigare il rischio di politica commerciale degli Stati Uniti.

Quali commerci sono a rischio per i dazi statunitensi?

Il commercio è di vitale importanza per gli Stati Uniti. Secondo gli ultimi dati della Customs and Border Protection Agency statunitense, gli Stati Uniti hanno importato merci per un valore di 3.000 miliardi di dollari nei primi 11 mesi del 2024. Gli ultimi dati della Banca Mondiale hanno evidenziato che Canada, Cina e Messico rappresentavano il 44% delle importazioni di beni degli Stati Uniti nel 2022. L'inclusione dell'Unione Europea porterebbe la quota di tali importazioni a rischio di dazi al 60%. I beni di consumo e i beni strumentali sono i settori chiave e rappresentano i due terzi di tutti i beni importati, mentre i beni intermedi, ossia quelli utilizzati per la fabbricazione di prodotti finali negli Stati Uniti, rappresentano il 17% delle importazioni. Ciò suggerisce che i dazi su ampia scala potrebbero non solo influire direttamente sui prezzi per imprese e consumatori, ma anche causare problemi significativi nella catena di approvvigionamento per i produttori nazionali che si vorrebbe sostenere.

Promesse elettorali

Durante la campagna elettorale il Presidente Trump ha parlato di dazi del 60% su tutte le importazioni cinesi e di un dazio universale del 10-20% su tutte le altre importazioni. Tuttavia, non si conosce ancora con certezza quale sarà la combinazione finale prevista dalla politica. Il primo round di dazi annunciato a inizio febbraio prevedeva una tassa del 25% sulle importazioni canadesi, esclusa l’energia, e messicane, nonché del 10% sulle importazioni di energia dal Canada e su quelle cinesi. Se combinate, queste politiche quadruplicherebbero l’aliquota tariffaria effettiva degli Stati Uniti dal 2,4% al 10%, anche se in un secondo momento i dazi nei confronti di Canada e Messico sono stati posticipati.

Questo quadro mostra cifre ancora inferiori di quelle promesse dal Presidente Trump durante la campagna elettorale. Nel caso in cui fossero attuate le politiche promesse, l’aliquota tariffaria effettiva sulle importazioni degli Stati Uniti aumenterebbe ulteriormente al 17%. A nostro avviso, la diversa realtà economica questa volta finirà per condizionare il Presidente, sebbene la portata e l'entità dell'annuncio iniziale di febbraio, più grandi del previsto, aumentino il rischio che la politica prevalga sull'economia e che i dazi elevati rimangano una caratteristica permanente della politica commerciale degli Stati Uniti.

Il parere generale dal punto di vista economico è che i dazi sono un fattore nettamente negativo. Tuttavia, il Presidente Trump e il suo team ritengono che questi siano la soluzione a tre problemi principali: in primo luogo, servono a correggere quelli che ritengono squilibri commerciali globali ingiusti, che hanno determinato negli Stati Uniti un deficit delle partite correnti di 818 miliardi di dollari nel 2023 e che hanno portato alla perdita di posti di lavoro nel settore manifatturiero statunitense negli ultimi 20 anni; in secondo luogo, come strumento di aumento delle entrate per finanziare tagli alle imposte nazionali; e infine, come strumento di negoziazione per realizzare gli obiettivi politici dell'amministrazione Trump.

La necessità di aumentare le entrate sarebbe particolarmente urgente se il Presidente Trump decidesse di ridurre nuovamente l’imposta sulle società. L'estensione delle disposizioni in scadenza del Tax Cuts and Jobs Act (TCJA) è già probabile che faccia pressione sulle finanze federali. Tagliare l'imposta sulle società dal suo tasso attuale del 21% al 15% comporterebbe ulteriori perdite di incassi pari a quasi 700 miliardi di dollari nei prossimi 10 anni. Se si utilizzassero i dazi per compensare queste perdite, sarebbe necessaria un'aliquota tariffaria media effettiva di circa il 12%. Sebbene riteniamo che un tasso definitivo così alto sia improbabile, la necessità di entrate potrebbe influenzare l’amministrazione Trump in favore dei dazi rispetto ad altre possibili soluzioni, aumentando ulteriormente le tensioni commerciali.

Gli investitori dovrebbero prendere in considerazione le implicazioni delle tensioni commerciali per i loro portafogli, dal momento che anche i dazi previsti per il 2018 hanno portato a una significativa volatilità del mercato, e alcuni dei precedenti fattori di compensazione questa volta saranno probabilmente meno efficaci. Ne consegue che un simile aumento delle aliquote tariffarie, a meno che non sia abilmente indirizzato, rischi di essere più inflazionistico di prima.

 Cosa è cambiato rispetto ai dazi del 2018?

Durante il suo primo mandato, il Presidente Trump ha introdotto dazi mirati su una serie di importazioni cinesi in risposta a quelle che considerava pratiche commerciali sleali. La combinazione della portata limitata dei dazi, della svalutazione del renminbi e dell’assorbimento di parte dei costi da parte degli importatori comportò un impatto inflazionistico iniziale limitato. Nel lungo periodo, è anche provato che le esportazioni indirette di beni trasbordati hanno contribuito a preservare l'accesso dei consumatori statunitensi alla produzione cinese a basso costo. Con ogni probabilità questi fattori saranno meno incisivi una seconda volta, il che significa che un aumento significativo delle aliquote tariffarie potrebbe risvegliare le pressioni inflazionistiche negli Stati Uniti.


Sebbene nel 2018 l’inflazione complessiva è rimasta contenuta, i settori esposti ai dazi hanno subito pressioni al rialzo sui prezzi. Tuttavia, la natura limitata dei dazi del 2018 ha ridotto gli aumenti dei prezzi a pochi settori e, nel contesto generalmente favorevole di allora, questi aumenti sono stati compensati da cali dei prezzi in altri settori. L'entità e la portata dei dazi proposti questa volta fanno sì che un numero molto maggiore di settori registrerà probabilmente un aumento dei prezzi, lasciando meno margine per una compensazione in altri settori e portando potenzialmente a una pressione al rialzo sull'inflazione complessiva.

Nel 2018, il fattore che ha principalmente compensato la competitività delle esportazioni cinesi è stata la svalutazione del renminbi. Tra aprile e ottobre 2018, la valuta cinese ha subito un deprezzamento del 10% rispetto al dollaro statunitense. Ma è improbabile che questa volta la svalutazione sia efficace come contromisura ai dazi statunitensi. In primo luogo, il tasso di cambio effettivo reale del dollaro statunitense è al livello più alto dal 1985. In secondo luogo, l'amministrazione statunitense ha esplicitamente scelto i manipolatori di valuta come bersaglio per i dazi, quindi tentare la stessa politica di svalutazione rischia di aggravare il problema.

L'impatto a lungo termine dei dazi del 2018 è stato compensato da un cambiamento delle catene di approvvigionamento. La quota cinese delle importazioni statunitensi è diminuita di nove punti percentuali dal 2018, con Messico, Vietnam e Taiwan quali principali beneficiari di questo cambiamento. Tuttavia, i dati sulle importazioni per questi paesi suggeriscono che parte di questo aumento degli scambi potrebbe essere imputata a merci cinesi trasbordate. Il riconoscimento di questo fenomeno da parte dell'amministrazione, così come l'ampliamento del numero di Paesi oggetto di dazi, fa sì che nel 2025 le possibilità che ciò si ripeta siano minori.

Infine, le società sembrano leggermente meno disposte ad assorbire i costi dei dazi rispetto al 2018. Un modello linguistico di grandi dimensioni utilizzato per esaminare le sessioni di domande e risposte delle recenti conferenze sugli utili delle società mostra che, mentre la maggior parte delle imprese non sta ancora discutendo dell'impatto dei dazi, quelle che affrontano la questione mostrano un cambiamento nel sentiment su come affrontare i costi dei dazi. Tra le imprese che hanno menzionato una risposta chiara ai dazi, abbiamo riscontrato un cambiamento a favore del trasferimento dei costi dei dazi ai consumatori finali.

Implicazioni sugli investimenti

Alla luce di questi fattori, c’è il rischio che la politica dei dazi di Trump nel 2025 sia più inflazionistica che nel 2018. L'entità e la durata dei dazi statunitensi e della ritorsione dei partner commerciali saranno le variabili chiave che determineranno l'entità dell'impulso all'inflazione e dell'impatto sulla crescita. Abbiamo individuato tre scenari potenziali: lo scenario dell'accordo, lo scenario delle promesse elettorali e lo scenario del Smoot-Hawley Tariff Act 2.0.

Lo scenario dell’accordo

Lo scenario dell'accordo è il più vicino allo scenario di base favorevole al mercato prima dell'inizio di febbraio. In questo scenario, una combinazione di negoziati e volatilità economica e di mercato porterebbe a un ripensamento della politica dei dazi. L’amministrazione statunitense dichiarerebbe vittoria su una serie di questioni politiche che consentono al Presidente Trump di ridurre le aliquote tariffarie. Le pressioni sui prezzi sarebbero di breve durata e l'impulso inflazionistico complessivo causato dai dazi sarebbe probabilmente moderato e parzialmente compensato dalle forze disinflazionistiche esistenti. Anche se potrebbe verificarsi una significativa volatilità a breve termine, le prospettive a medio termine rimangono perlopiù invariate. La traiettoria della politica della Federal Reserve (Fed) rimarrebbe immutata e, dopo i primi ostacoli, i mercati azionari potrebbero essere sostenuti dalla deregolamentazione e da modeste misure fiscali.

Lo scenario delle promesse elettorali

L'entità dell'annuncio iniziale di febbraio aumenta le nostre preoccupazioni sul fatto che l'amministrazione Trump voglia realizzare la politica commerciale promessa in campagna elettorale. In questo scenario, i dazi serviranno non solo per raggiungere obiettivi politici, ma anche come fonte di entrate del governo per finanziare la piena estensione del TCJA e la riduzione promessa dell’imposta sulle società. L'impatto sui mercati sarebbe più dirompente, in quanto i dazi permanenti verrebbero applicati su larga scala e l'aliquota effettiva aumenterebbe in modo significativo. L'impatto iniziale sull’economia comporterebbe una stagflazione. L'entità e la portata dei dazi ostacolerebbero le imprese e i mercati valutari nell'assorbimento dello shock dei prezzi, mentre la crescita degli Stati Uniti rallenterebbe nonostante l'economia possa evitare una recessione. Qualsiasi compensazione fiscale non si verificherebbe fino al 2026. L’aumento dell’inflazione con consentirebbe alla Fed di tagliare i tassi per sostenere le prospettive. Il dollaro statunitense sarebbe sostenuto da differenziali di inflazione più ampi, mentre la volatilità del mercato azionario potrebbe incrementare con l’aumento dell’incertezza sui margini e il calo della fiducia delle imprese. Gli investimenti alternativi, e in particolare gli attivi reali, dovrebbero sovraperformare. All’interno dei mercati pubblici, le strategie di reddito e di valore potrebbero beneficiare di un’inflazione più elevata. Le obbligazioni governative europee registrerebbero una sovraperformance a fronte di una riduzione dei tassi da parte della Banca Centrale Europea a sostegno della crescita.

Scenario del Smoot-Hawley Tariff Act 2.0

Il nostro scenario di rischio estremo è rappresentato da un ritorno delle aliquote tariffarie USA medie ai livelli registrati da ultimo negli anni ‘30 dopo l’emanazione del Smoot-Hawley Act. Nonostante riteniamo che sia lo scenario meno probabile, l’impatto sul mercato potrebbe essere drammatico. In questo scenario, l'amministrazione statunitense utilizzerebbe aumenti massicci dei dazi per finanziare tagli fiscali significativi per famiglie e imprese, cercando di sostituire le principali fonti di reddito con le entrate tariffarie. L'aliquota tariffaria statunitense salirebbe al livello più alto dalla seconda guerra mondiale, e causerebbe un significativo effetto negativo sul volume di scambi commerciali globali, a fronte delle ritorsioni dei partner commerciali. Questo effetto sul volume supererebbe quello sui prezzi e il risultato complessivo sarebbe deflazionistico. I mercati obbligazionari si rafforzerebbero con il calo dei rendimenti sovrani.

Nonostante gli stimoli fiscali, i mercati di rischio non registrerebbero performance positive a causa del calo dei titoli azionari e dell’ampliamento degli spread creditizi. Gli asset a duration lunga e di alta qualità sovraperformerebbero e i titoli azioni europei sarebbero particolarmente vulnerabili a una escalation della guerra commerciale per via della quota di ricavi generati all’estero (Figura 1).

Conclusione

Nei prossimi mesi prevediamo una volatilità più elevata, in particolare nel caso in cui venissero annunciati ulteriori dazi contro l’Europa. Tuttavia, la nuova amministrazione ha ereditato un mercato azionario in piena espansione e ha avuto mandato dagli elettori per combattere l'inflazione, aspetti entrambi a rischio qualora la carta dei dazi venisse giocata male. Se i dazi dovessero rivelarsi temporanei, l'assunzione di rischio dovrebbe essere premiata nel medio termine, tuttavia gli investitori devono essere consapevoli che una politica commerciale aggressiva, con la prospettiva di un aumento dei tassi d'interesse e di pressioni sui margini, o un vero e proprio shock della crescita, potrebbe rivelarsi uno scenario sfavorevole per i mercati. La diversificazione dei portafogli sarà fondamentale per far fronte all'incertezza della politica commerciale e ai rischi di inflazione e crescita. A seconda dello scenario, gli investimenti alternativi possono contribuire a mitigare alcuni dei rischi di inflazione al rialzo, mentre le obbligazioni governative europee dovrebbero offrire protezione in caso di shock deflazionistico.

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